Le lavorazioni elettrochimiche sfruttano il fenomeno dell’elettrolisi dei materiali ferrosi per la dissoluzione controllata del pezzo da lavorare.
Grazie a questo processo è possibile rimuovere il materiale dal pezzo fino ad ottenere la lavorazione ricercata.

 

Uno dei vantaggi principali è che l’asportazione non dipende dalle caratteristiche meccaniche del materiale (durezza, tenacità e lavorabilità), ma solo da quelle chimico-fisiche (peso atomico, valenza di ionizzazione, densità).

Come funziona un impianto ECM

 
L’utensile e il pezzo in lavorazione riproducono il funzionamento di una cella elettrolitica. Il materiale da lavorare funge da anodo, mentre l’utensile costituisce il catodo; entrambi sono immersi in un elettrolita che agisce come conduttore per il trasporto della corrente proveniente da un generatore esterno e garantisce la rimozione del calore e dei prodotti di lavorazione.

Tra utensile e pezzo viene viene mantenuta una distanza intorno ai 0,25mm; in questo spazio l’elettrolita, pompato attraverso una cavità nell’utensile è in grado di scorrere a velocità elevate, tra i 30 e i 60 m/s.

I componenti di un impianto di Electrochemical Machining

impianto electro chemical Machining

Schema d’impianto Electrochemical Machining (ECM)

I componenti principali di un impianto ECM sono:

• l’utensile: esso rappresenta il negativo della lavorazione che si vuole ottenere. É realizzato in materiali facilmente lavorabili con tolleranze ristrette, che siano buoni conduttori elettrici e termici e che presentino una buona durezza;
• l’elettrolita: deve presentare un’elevata conducibilità elettrica, basso costo, elevata reperibilità. Inoltre deve avere una bassa tenenza alla corrosione e non deve essere tossico. Gli elettroliti si dividono in due classi: quelli composti da sali inorganici (come cloruro di sodio, cloruro di potassio, nitrato di sodio e clorato di sodio) e e quelli composti da acidi e basi (come acido solforico e idrossido di sodio);
• il generatore;
• il serbatoio;
• il sistema di movimentazione dell’utensile;
• il sistema di movimentazione e termo-regolazione dell’elettrolita: la temperatura e la pressione dell’elettrolita ricoprono un ruolo importante nel processo di lavorazione. La pressione varia da 69 KPa e 2.7 MPa ed è garantita da una pompa, la temperatura è invece compresa tra i 24 °C e i 65 °C ed è mantenuta in un intervallo di variazione di pochi gradi grazie ad uno scambiatore.

A questi si aggiungono un sistema di alimentazione dell’elettrolita, un’unità di regolazione e un’unita di trattamento. Il metallo asportato, infatti, precipita nella soluzione come idrossido metallico e può essere rimosso tramite centrifugazione o sedimentazione in serbatoio.

In seguito gli sfridi (rifiuti di lavorazione) sono trattati in un filtro a pressione per ottenere una fanghiglia che viene poi sottoposta a un un processo che ne diminuisce l’impatto ambientale riducendolo a PH neutro.

La natura corrosiva del processo di lavorazione obbliga a regole precise nella progettazione di questi impianti. Ogni parte dell’impianto che entra in contatto con l’elettrolita (tubi, pompe raccordi, rivestimento della vasca, scambiatori…) deve essere costituita da materiali resistenti alla corrosione come i materiali plastici.

FONTI: “Tecnologia meccanica le lavorazioni non convenzionali, Michele Monno, Barbara Previtali, Matteo Strano”

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